Il deputato Jacopo Morrone gioisce pubblicamente per un decreto che a nostro avviso non supera alcuna “anarchia immigrazionista”. Al contrario, il decreto del governo Meloni rinvia al futuro l’attuazione di qualsiasi misura concreta e aumenta l’incertezza, in attesa che troppe condizioni legali e internazionali si realizzino affinché quegli obiettivi dichiarati pubblicamente trovino attuazione.
Volendo fare un ragionamento complessivo, i piani che balzano all’occhio sono due e sono strettamente correlati.
Dal punto di vista politico-istituzionale, Meloni e i suoi ministri si sono nascosti per giorni, incapaci di affrontare una vicenda drammatica, di incompetenza e irresponsabilità istituzionale e umana: i 74 morti sin qui accertati – 30 dei quali bambini e minori – potevano e dovevano essere salvati. A nulla sono serviti un consiglio dei ministri a pochi metri dalle bare, né la conferenza stampa che annunciava roboanti misure di ripristino della legalità e della lotta all’immigrazione clandestina. La chiusura totale verso qualsiasi richiesta di chiarimento, parlamentare e civile, e il clima di scontro con la stampa hanno solo mostrato tutti i limiti della visione sovranista del governo Meloni. Persino il trasferimento delle salme delle vittime è diventato il simbolo dello stato confusionale di queste destre, che non è degno dell’Italia.
Dal punto di vista normativo, poi, i “guai” sono anche maggiori.
Si inaspriscono le pene agli scafisti che verranno combattuti in tutto il “globo terraqueo”, come se questo abbia mai rappresentato un deterrente, e come se gli scafisti non fossero l’ultimo anello della catena di vaste organizzazioni criminali ramificate in più paesi, i cui capi, ahimè, solitamente non guidano i barconi. Si dichiara di voler combattere ovunque gli organizzatori della tratta di persone, come se non presupponesse la necessità di accordi stringenti coi governi dei paesi di origine e come se accordi bilaterali fatti solo dall’Italia, senza un coordinamento stringente coi paesi dell’Unione Europea, possano garantire un’efficace azione di contrasto nel Mediterraneo, in Medio Oriente, in Africa. Si presume di regolamentare i flussi in entrata dei migranti, sapendo che senza abolire la Bossi-Fini non serve a nulla perché si costringono gli immigrati ad un folle avanti indietro dal loro paese, per poter ottenere il permesso di soggiorno e di lavoro. Si riconoscono corsi di formazione promossi dal ministero del Lavoro da realizzare presso i paesi di origine. In teatri di guerra? In paesi con governi dittatoriali integralisti come nell’Afghanistan dei talebani? Si reclama, infine, l’aiuto dei paesi dell’Unione Europea per combattere l’immigrazione clandestina, quando il ministro Piantedosi ha disertato il consiglio dei ministri dell’UE in materia di affari interni e immigrazione, già fissato da tempo, Si dirà, era a Cutro. Forse sarebbe stato meglio se fosse andato a Bruxelles.
L’enfasi data al decreto del 9 marzo scorso ai nostri occhi appare solo propaganda, un provvedimento aleatorio, che ha il sapore amaro della non comprensione o del disinteresse per un fenomeno drammatico e complesso da combattere in chiave internazionale, con strumenti normativi chiari e immediatamente attuabili, distinguendo tra i bisognosi e i criminali che sfruttano la sofferenza.